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Dal nettare al miele

 

Dal nettare al miele

«… poiché il miele è, per le api, una specie di vita liquida, una specie di chilo assimilabile immediatamente, che non lascia residui …» [1].

Il nettare
Il nettare è un liquido dolce secreto dai nettarii, generalmente collocati nelle parti più interne del fiore.
Si potrebbe definire come la ricompensa offerta dalle piante alle api e agli altri insetti impollinatori per la loro azione di fecondazione incrociata.
Ma non è completamente gratuita: mentre nel miele la concentrazione di acqua si aggira intorno al 17-18%, nel nettare, pur variando in maniera notevole, nella maggior parte dei casi oscilla tra il 60 e il 75%. Dunque, il passaggio dal nettare al miele richiede un lungo e impegnativo processo di eliminazione dell’acqua in eccesso contenuta nel nettare.

Consegna del nettare
Il tutto ha inizio con l’ape bottinatrice al ritorno dal suo volo e con la borsa melaria gonfia di nettare. Si fa largo tra le api del predellino e rapidamente entra nell’alveare attraverso la porticina. Raggiunto un posto su di un favo e, circondata dalle sorelle di casa, la sua condotta può essere duplice:

  • si aggira finché non trova un’ape a cui cedere quasi tutto il suo carico, oppure lo distribuisce fra poche altre nel caso in cui si sia imbattuta in una fonte di nettare non proprio intensa;
  • se, invece, la fonte di nettare è abbondante, la bottinatrice subito, prima di distribuire il carico, esegue la tipica danza (circolare o dell’addome) e, nel frattempo, fa assaggiare il nettare che ha raccolto alle compagne che la seguono da vicino. Infine, incontrando un’ape casalinga le cede una parte preponderante del proprio bottino.

Rituale
Il trasferimento del nettare tra le due api segue una procedura fissa e può apparire come un complesso rituale fatto di un costante contatto e di un fitto scambio tra le due  protagoniste.
Appena sono vicine, l’ape bottinatrice spalanca le mandibole e rigurgita una goccia di nettare sulla parte iniziale della proboscide, mentre l’ape di casa distende la sua proboscide e succhia il nettare.


[Da Grout, rielaborato].

Durante tutta la fase di passaggio del nettare le antenne delle due api si strofinano senza interruzione e si può anche notare che l’ape di casa con il “piede” delle zampe anteriori tocca con delicatezza le “guance” della bottinatrice. Una sollecitazione a continuare con il rifornimento?


[Da Grout, rielaborato].

Ripartenza
Trasferito il carico, l’ape bottinatrice di solito sosta per altri pochi minuti, talvolta riparte subito ma, sempre, la partenza non avviene senza che si siano attuate alcune specifiche operazioni: un colpetto della proboscide tra le zampe anteriori, stropicciamento degli occhi e pulizia delle antenne, una rapida occhiata e, infine, l’infallibile orientamento verso il luogo da dove è venuta con il carico di nettare.
Tutto velocemente, meno tempo per attuarlo che per leggerlo.

L’ape di casa
Lasciamo l’ape bottinatrice al suo veloce e rettilineo volo e dedichiamoci all’ape casalinga. Da adesso in poi dovrà occuparsi del nettare ricevuto fino a trasformarlo in miele maturo. Dopo ripetuti passaggi del nettare con altre api, trovato un posto poco affollato si dispone in una tipica posizione verticale con il capo in alto e dà subito inizio ad una successione rapida di procedure che porteranno ad una prima parziale riduzione del contenuto in acqua del nettare.


[Da Grout, rielaborato].

1. Riduzione dell’umidità nel nettare

Prima parte: rapida successione
Fase uno: l’ape spalanca le mandibole e orienta in avanti e verso il basso la proboscide.


[Questa immagine e le successive: da Grout, rielaborato].

Fase due: mentre la proboscide viene spinta in fuori, nella cavità preorale compare una piccola goccia di nettare rigurgitata dalla borsa melaria.

Fase tre: la proboscide è abbassata e ritratta ripetutamente, e ad ogni successivo abbassamento si spinge sempre più in fuori ampliando lo spazio delimitato. Ad ogni nuovo movimento la gocciolina di nettare si ingrossa,

fino a raggiungere la massima dimensione.

Fase quattro: raggiunta la massima dimensione, la gocciolina di nettare è risucchiata dall’ape nella borsa melaria. Lo si nota in quanto la sua superficie inferiore diviene concava e la parte terminale della proboscide si distende sempre più finché la gocciolina scompare del tutto. A questo punto la proboscide viene ripiegata all’indietro nella posizione iniziale di riposo.

La serie di operazioni descritta è compiuta in 5-10 secondi e il processo si ripete, con brevi pause, per circa 20 minuti, anche se le variazioni possono essere rilevanti. L’esposizione del nettare in una gocciolina stesa aumentando la superficie di contatto con l’aria, relativamente secca e calda dell’alveare, permette di abbassare l’umidità al 40-50%. Riduzione rilevante ma insufficiente. Ha inizio, quindi, la seconda fase, al termine della quale il miele avrà raggiunto la giusta concentrazione di acqua necessaria ad impedire processi di fermentazione.

Seconda parte: deposito
Dopo aver operato la concentrazione della gocciolina di nettare, l’ape va alla ricerca di una celletta libera e, trovatala, vi penetra con la parte ventrale del corpo verso l’alto, la peculiare posizione di un’ape intenta a depositare il miele non ancora maturo.


[Da Grout, rielaborato].

Cellette vuote e già occupate
Nel caso in cui la celletta è vuota, l’ape si spinge fino al fondo e, tenendo divaricate le mandibole, rigurgita gradualmente il miele non ancora maturo; servendosi delle appendici boccali come se fossero un pennello, piegando il capo da una parte all’altra, lo distribuisce  sulle parti superiori della celletta; lentamente il miele scorre verso il basso, accumulandosi sul fondo della celletta.
Quando all’ape capita di trovare la celletta già in parte riempita, vi immerge le mandibole rigurgitandovi direttamente il miele.

Troppo afflusso
Tuttavia, il processo appena descritto può subire variazioni radicali quando si verifica un abbondante afflusso di nettare e, in particolare, quando questo è molto fluido. Le operazioni si fanno più frettolose, i passaggi da un’ape all’altra diminuiscono, non si perde tempo con il processo iniziale di maturazione, e il nettare è quasi subito scaricato. In genere, invece di deporre l’intero carico in una sola celletta, l’ape lo suddivide in numerose goccioline attaccate alla parete superiore delle cellette, goccioline che spesso si possono trovare anche nelle cellette contenenti uova o giovani larve. Le goccioline sospese espongono la massima superficie al processo di evaporazione.


[Da Grout, rielaborato].

Solitamente le cellette selezionate per la maturazione del miele sono quelle dislocate attorno al perimetro della covata perché questa è la regione dell’alveare dove l’aria è più calda e asciutta grazie all’attività delle api ventilatrici, ma talvolta è possibile trovare simili goccioline appesa anche nelle cellette dei melari.

Piccole quantità in un grande numero di cellette
In prove effettuate per verificare l’efficacia relativa dell’aumento di concentrazione del miele immaturo senza l’intervento diretto delle api, è emerso che aumentava con velocità circa doppia nelle cellette riempite per un quarto rispetto a quelle riempite per tre quarti. E le api si comportano seguendo questo principio: quando lo spazio a disposizione è adeguato, dispongono il miele immaturo in piccola quantità nel numero massimo di cellette. Nelle cellette riempite per un quarto, con una concentrazione iniziale di acqua nel nettare dell’80 e del 70 per cento, la maturazione del miele si raggiunge rispettivamente in 3 e 2 giorni. Nelle cellette riempite per tre quarti, un miele immaturo con una concentrazione in acqua del 40% raggiunge la maturità in circa tre giorni, mentre un miele immaturo con una concentrazione in acqua del 60% in poco più di tre giorni.

Durante la notte
Al termine di una giornata di elevato afflusso di nettare e quando nei favi lo spazio per collocare il raccolto è sufficiente, poche cellette sono piene di miele immaturo oltre la metà della loro capienza e la maggior parte ne contengono meno. Se la sera dello stesso giorno i favi sono scossi il miele immaturo defluisce in modo abbondante. Ma il mattino successivo rivela importanti cambiamenti: molte cellette che la sera precedente contenevano piccole quantità di miele sono vuote, mentre le cellette che contenevano una discreta quantità di miele immaturo sono ora ricolme e tutte quelle poste nelle vicinanze sono più colme. Difficile far sgocciolare il miele scuotendo i favi. Nessun dubbio, dunque, sulla necessità di fornire alle api adeguato spazio per le operazioni di maturazione del miele.

La ventilazione
Numerosi fattori, sia interni che esterni, influenzano il processo di estrazione dell’acqua sia dal nettare che dal miele immaturo. La velocità dell’evaporazione all’interno dell’alveare varia in proporzione diretta con la temperatura e in proporzione inversa con l’aumentare dell’umidità. A parità di altre condizioni, la movimentazione dell’aria all’interno dell’alveare accelera l’evaporazione quanto più è rapida, ma con risultati che decrescono via via che l’umidità di avvicina al punto di saturazione. Questa è la ragione per cui lo scambio di aria con l’esterno è necessario per rimuovere l’aria interna carica di umidità e sostituirla con quella esterna più asciutta.

Un ricercatore ha provato a fornire a quattro colonie una ventilazione aggiuntiva a differenti livelli di intensità determinando la variazione giornaliera nella concentrazione in acqua  del miele immaturo deposto dalle api in un pomeriggio. I favi in osservazione erano stati rinchiusi in gabbie per impedire che le api potessero aggiungere o togliere miele immaturo e inseriti tra i favi da miele nel melario. I risultati della ventilazione aggiuntiva furono: scarsi in periodi caldi e secchi e con raccolti modesti; buoni con temperatura media intorno ai 26,5°C, umidità atmosferica alta e raccolta di nettare abbondante. Insomma, per la maturazione del miele una adeguata ventilazione si dimostra necessaria [2].

L’umidità interna dell’alveare
L’umidità relativa all’interno dell’alveare può variare da un minimo del 20% ad un massimo dell’80% ed è condizionata da quella relativa esterna. Nel nido di covata l’umidità relativa è mantenuta costante con una variabilità dal 35 al 45 per cento.
In un periodo di buon raccolto e con una temperature esterna sui 27°C, la massa di vapore acqueo proveniente dall’abbondante afflusso di nettare fresco rende necessario il lavoro delle ventilatrici. In che misura la loro azione interferisce nell’evento?
L’aria si spostava all’interno dell’alveare ad una velocità media di 78 metri al minuto, con un minimo di 57 metri ed un massimo di 95 metri. La perdita di acqua in 24 ore è stata di 2,58 kg, corrispondente alla metà dell’aumento in peso lordo dell’alveare e oltre i due terzi della perdita si sono misurati durante le ore diurne. Pesando l’arnia piena di api e, successivamente vuota, è stato calcolato che la colonia conteneva circa 6,8 kg di api dei quali, alle 14.15,  4,5 kg di api erano presenti nella colonia mentre i restanti 2,3 kg di api erano al lavoro nei campi. Se ne è dedotto che per ogni ape intenta a bottinare sui fiori due erano impegnate nell’alveare a far maturare il nettare, ad immagazzinarlo e a svolgere tutti gli altri compiti. La conclusione è che la famiglia deve poter effettuare una efficace ventilazione all’interno dell’alveare soprattutto nei momenti in cui si ha un abbondante afflusso di nettare [3].

2. Trasformazioni chimiche

Abbassare la concentrazione di acqua nel nettare è un  passaggio fondamentale verso la produzione del miele, ma non è il solo. Il miele non si limita ad essere un nettare concentrato. È altro anche nella composizione chimica. E decisamente più complesso. La composizione del miele è condizionata da quella del nettare, i suoi componenti sono gli stessi presenti nella materia prima che, però, l’ape arricchisce di secrezioni proprie in grado di innescare importanti trasformazioni.

Il processo inizia subito, al momento della raccolta: depositato nella borsa melaria il nettare subisce l’azione di alcuni enzimi, in particolare dell’invertasi, prodotta dalle ghiandole salivari ipofaringee delle api operaie, e della glucosio ossidasi, enzimi che, in seguito, continueranno ad essere aggiunti anche dalle api che provvedono alla maturazione del miele. L’azione degli enzimi si concluderà nelle cellette dei favi dove il miele, ormai quasi maturo, è stato riposto per la conservazione. Allorquando la percentuale di acqua sarà stata ridotta almeno al 21%, le cellette saranno sigillate con un coperchio di cera, detto opercolo, per impedire che per igroscopicità il miele maturo possa assorbire l’umidità presente nell’atmosfera dell’alveare.

Invertasi e glucosio ossidasi
L’invertasi scinde il saccarosio nei due monosaccaridi che lo compongono, il fruttosio ed il glucosio, ed una piccola quantità di quest’ultimo viene trasformata dalla glucosio ossidasi in acido gluconico e in perossido di idrogeno (acqua ossigenata). L’acido gluconico acidifica il miele, mentre il perossido di idrogeno svolge una efficace azione antibatterica: il miele è, pertanto, in grado di inibire lo sviluppo di batteri, muffe e lieviti e si può conservare con facilità.

Quanto miele può essere prodotto in una giornata?
Si tratta di un valore alquanto variabile condizionato da più fattori, in particolare dalla quantità di nettare resa disponibile dai nettarii della fioritura bottinata e dalla sua concentrazione zuccherina.
Una stima, alquanto arbitraria, potrebbe basarsi sui seguenti dati:

  • una bottinatrice può trasportare in ogni volo circa 30 mg di nettare, considerando che una parte del nettare trasportato è consumato dalla bottinatrice;
  • in un giorno una bottinatrice può compiere una decina di voli;
  • una colonia in buone condizioni di sviluppo può ospitare 15.000 api bottinatrici.

Dunque: 30mg x 10 voli x 15.000 bottinatrici = 4.500.000 mg di nettare, ossia 4,5 kg di nettare che trasformati in miele potrebbero ridursi a poco più di 2 kg di miele prodotti in una giornata.
Valore che non differisce molto da quello calcolato da Jessup in un lavoro già citato e basato sulla determinazione della variazione del peso di un alveare: la perdita di acqua giornaliera indicava un afflusso di nettare di poco superiore a 5 kg.

Alimentazione di qualità
Il miele presenta anche un’altra interessante caratteristica: assieme alle altre sostanze di cui si nutrono le api, anche il miele si origina da una materia prima, il nettare, che non comporta alcun danno all’organismo che lo fornisce. Non solo: le api, e con esse gli altri insetti impollinatori, sottraggono alla pianta esattamente quanto questa ha predisposto per loro, e solo per loro, in un lungo processo di evoluzione. Forse questa è la ragione che rende gli alimenti dell’alveare di qualità elevatissima.
Il miele è il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalla secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie e lasciano maturare nei favi dell’alveare”[4].
Precisando che cosa è il miele la definizione ci dice anche che cosa non può essere: solo le api producono miele, la materia prima non può che essere il nettare oppure la melata, sono escluse tutte le altre sostanze zuccherine, e nessun composto, che non sia prodotto dalle api, può essere aggiunto.

Dal passato remoto
Le api che trasportano un nettare molto liquido spesso espellono durante il volo goccioline di liquido chiaro. Questa osservazione, abbinata alla supposizione che il nettare appena deposto nelle cellette fosse più concentrato del nettare da cui prendeva origine, ha fatto da supporto alla cosiddetta “teoria della escrezione”, in auge per secoli ed in base alla quale le api sono in grado di eliminare una buona parte dell’acqua presente nel nettare mentre sono in volo.
Park, già citato per altri lavori, sottopose questa teoria alla prova sperimentale, confrontando la concentrazione zuccherina del nettare contenuto nella borsa melaria nel momento in cui l’ape entra nell’alveare con quella del nettare raccolto. Si è appreso che durante il volo di ritorno le bottinatrici modificano solo in minima parte la concentrazione zuccherina del nettare, in media dell’uno per cento, ma diminuendola anziché aumentarla. Dunque, è certo che le goccioline liberate dalle bottinatrici non svolgono alcun ruolo nell’eliminare l’acqua dal nettare.

[Bibliografia. Roy A. Grout, “L’ape e l’arnia”, Edagricole, Bologna, 1981].

Note
[1] M. Maeterlinck, “La vita delle api”, Rizzoli editore, Milano, 1979, pag. 79.
[2] J. F. Reinhardt, J. Econ. Entomol, 1939, 32: 654-660, da “L’ape e l’arnia” di Roy A. Grout, Edagricole, Bologna, 1981, pag. 126-127.
[3] J. G. Jessup, “The humidity within the bee colony”, 1924, da “L’ape e l’arnia” di Roy A. Grout, Edagricole, Bologna, 1981, pag. 126.
[4] Da: “Norma regionale europea raccomandata per il miele”, documento emanato dalla Commissione Codez Alimentarius, FAO/OMS, nel 1969.

Dal nettare al miele ultima modifica: 2021-07-21T13:39:35+00:00 da Giorgio Della Valle

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