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Mauna Loa?

Mauna Loa

Mauna Loa. Certo, isole Hawaii. Certo, vulcano a scudo. Certo, quasi 4000 metri di altezza.

Ma rimane una domanda: perché, molti anni fa, si decise che questo sperduto luogo fosse ideale per monitorare la concentrazione di CO2 nell’atmosfera?

Un’interessante storia che ci riporta a ritroso agli anni Cinquanta del secolo scorso.

All’inizio di quel decennio si scopre che la Terra, almeno l’emisfero nord, si sta riscaldando.

La notizia non è solo di interesse accademico; raggiunge la stampa popolare che, inevitabilmente, la amplifica sollevando preoccupazioni e allarme.

Ma perché la Terra si sta riscaldando?

Le ipotesi date dagli scienziati proliferano senza che una prevalga sulle altre.

Nel 1956, un noto meteorologo, Hans A. Panofsky, pubblica sulla rivista non specialistica, Weatherwise, un articolo, Teorie del cambiamento climatico, in cui passa in rassegna alcune ipotesi avanzate sul clima. Tra le altre, in questa sede interessa quella che si occupa delle trasformazioni della composizione dell’atmosfera e, dunque, dell’alterazione di quell’effetto serra naturale che crea le condizioni ideali per la presenza della vita sulla Terra: è o non è un processo capace di modificare il clima? Panofsky, al pari di molti suoi colleghi, è scettico e fonda le sue obiezioni sul lavoro svolto alla fine dell’Ottocento da un fisico svedese, Knut Ångström: anidride carbonica e vapore acqueo assorbono la radiazione infrarossa, emessa dalla superficie terrestre, nelle stesse zone dello spettro, esaurendola in modo completo; e se la radiazione a onda lunga intercettata dalla CO2 è già intercettata dal vapore acqueo (il più efficiente dei gas serra), che ruolo rimane all’anidride carbonica? Dunque, qualsiasi quantità di CO2 aggiunta all’atmosfera non potrà che avere poco o nessun effetto sul clima terrestre.

Guy Stewart Callendar, un ingegnere meccanico inglese interessato alla meteorologia, non ne è convinto e, fin dagli anni Trenta indaga la presenza ed il ruolo della CO2 nell’atmosfera terrestre. In alcuni articoli pubblicati dal 1938 al 1958, fornisce nuovi risultati sullo spettro di assorbimento del calore da parte della CO2, stima la crescita della sua concentrazione dalle 290 parti per milione alla fine Ottocento alle 320 nel 1935, e si convince che sì, l’anidride carbonica può influenzare il clima. È sua l’affermazione, poi ripresa da numerosi scienziati, che l’umanità stia intraprendendo un “grande esperimento” su scala planetaria, accelerando i processi naturali e interferendo con il ciclo del carbonio.

A metà degli anni Cinquanta il legame tra effetto serra e cambiamenti climatici è uno dei temi di grande interesse per gli scienziati. Nel 1957 Paul Revelle, della Scripps Institution, e Hans Suess, in un articolo pubblicato sulla rivista Tellus, si occupano della scambio di anidride carbonica tra atmosfera e oceano. Fino a quel momento si riteneva che la CO2 emessa naturalmente e quella liberata dalla combustione e dalla deforestazione venisse quasi totalmente assorbita dalle acque oceaniche; Revelle e Suess, invece, dimostrano che quantitativi significativi di CO2 si  concentrano nell’atmosfera e che sono tali da, forse, amplificare l’effetto serra.

Nell’anno precedente, il 1956, un fisico canadese, Gilbert Norman Plass, esperto in radiazioni infrarosse, pubblica due importanti articoli nei quali espone, grazie a nuove e più dettagliate misure delle bande di assorbimento del vapore acqueo, della CO2 e dell’ozono, a nuove acquisizioni sul ciclo del carbonio e sulle sue emissioni industriali e alla disponibilità di nuovi computer in grado di simulare scenari climatici, una teoria della CO2 ormai matura. Interessante la conclusione a cui giunge: «Se alla fine di questo secolo, le misurazioni mostreranno che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è cresciuta in modo apprezzabile e allo stesso tempo la temperatura ha continuato ad aumentare nel mondo, sarà certamente provato che l’anidride carbonica è un importante fattore nel determinare un cambiamento climatico».

Però, e lo segnalano Revelle e Suess, i dati sull’ammontare totale di CO2 nell’atmosfera, sui suoi tassi e meccanismi di scambio tra il mare e l’aria e tra l’aria e i suoli, sono insufficienti per dare un’accurata misurazione dei futuri cambiamenti della CO2 nell’atmosfera. La fondamentale informazione da ottenere è l’esatta concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e la sua evoluzione nel tempo. Già nel 1956 Revelle ne parla con Harry Wexler, direttore di ricerca del U. S. Weather Bureau; subito ci si rende conto dell’importanza del monitoraggio della CO2 basato su metodologie standard per lo studio del clima, e si decide di stanziare i fondi per un osservatorio dotato di una analizzatore a gas infrarossi per prendere misure continue dalla CO2.

Del compito viene incaricato Charles D. Keeling, assistente di ricerca allo Scripps Institution of Oceanography: ha meno di trent’anni e si ritrova addosso la responsabilità di gestire un progetto che modificherà la nostra percezione dell’ambiente.

Si decide che l’osservatorio sarà costruita a Mauna Loa, sulla più grande delle isole hawaiane. Ma perché proprio alle Hawaii? Per la loro posizione unica: a migliaia di chilometri da masse continentali e su una montagna a più di tremila metri di altezza, il luogo  si presenta come un ambiente intatto tra i più puliti del mondo. Non solo: gli strumenti sono posizionati nel cratere spento di un vulcano, il Manua Loa, e l’assenza di vegetazione e di attività umane garantiscono la minima interferenza con i dati raccolti.

La creazione dell’osservatorio è un momento di svolta: le sue misurazioni permettono di controllare in modo continuo la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e, in futuro, la tendenza globale nell’evoluzione del fenomeno.

I dati si dimostrano subito precisi e, già nel 1959, indicano un aumento della concentrazione di CO2 rispetto all’anno precedente. Negli anni Sessanta si giunge ad una prima, importante, conclusione: in quel decennio la concentrazione di CO2 cresce con un tasso dello 0,3% l’anno ed il grafico risultante assume la forma di una curva seghetta, sempre in crescita. Le viene dato il nome di “curva di Keeling” e, da allora, è diventata l’icona ambientale.

Grazie a Mauna Loa, e alle stime precedenti, sono state indagate le concentrazione di CO2 nell’atmosfera negli ultimi duecento anni: dalle 290 parti per milione di fine Settecento alle oltre 400 attuali.

 

[Le informazioni sono tratte dal libro di Antonio Navarra e di Andrea Pinchera, “Il clima”, pubblicato da Editori Laterza nel 2000]
Mauna Loa? ultima modifica: 2019-05-27T15:25:44+00:00 da Giorgio Della Valle

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