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Di migrazioni, di locuste, di migrazioni

Di migrazioni, di locuste, di migrazioni

Pesantezza
La locusta del deserto è un insetto, appartiene all’ordine degli Ortotteri, dalle dimensioni rilevanti e dal corpo abbastanza tozzo: la femmina raggiunge i 50–60 mm di lunghezza, mentre il maschio è leggermente più piccolo (45–55 mm) e ha una massa corporea di 2 grammi. Potrà sembrare poco ma, per confronto, un’ape operaia pesa circa venti volte meno.


Un agricoltore raccoglie una locusta a 200 km dalla capitale del Kenya, Nairobi. 24 gennaio 2020.

Formidabili migratrici
Nonostante ciò, la Schistocerca gregaria, questo il nome scientifico, ha sviluppato una capacità migratoria che è dire poco formidabile.
Non avendo la forza per muoversi in autonomia, gli sciami di locuste sfruttano le correnti termiche diurne facendosi trasportare ad altezze considerevoli dove incontrano venti di alta quota che spirano in direzioni differenti e, potendo stare in volo fino a 20 ore di seguito, si spostano seguendoli, riuscendo a coprire distanze fino a 150 chilometri al giorno.
Durante l’infestazione del 1988 avvenne, però, qualcosa di ancora più sorprendente che lasciò gli scienziati disorientati: sciami di locuste raggiunsero i Caraibi dalla Mauritania percorrendo, attraverso l’Atlantico, 5.000 chilometri in dieci giorni. Come fu possibile, se gli sciami normalmente di notte hanno bisogno di posarsi a terra per riposare e, soprattutto, le locuste non sono in grado di galleggiare! Si scoprì così che le prime locuste si posavano sull’acqua e annegavano, ma i loro corpi costituivano come una sorta di zattera sulla quale le successive potevano posarsi, risposarsi e riprendere il volo.

Strategia ingegnosa
Si potrebbe obiettare che questa strategia ha il limite di rendere le locuste ostaggio delle imprevedibili e mutevoli direzioni dei venti. In realtà, è un sistema più ingegnoso di quanto possa sembrare, dato che i venti soffiano sempre in direzione delle zone a bassa pressione barometrica nelle quali sono più frequenti le piogge.
Nelle aree desertiche, o subdesertiche, le rare piogge favoriscono una rapida crescita di alberi e arbusti che coincide con la deposizione di uova nel suolo sabbioso; in seguito alla loro schiusa, l’abbondanza di vegetali freschi fornirà cibo alle neanidi ed alle ninfe e un riparo sicuro alla successione delle fasi fino a quella di adulti alati.
Ma, a causa della elevata prolificità delle femmine (ciascuna femmina è in grado di compiere da 2 a 5 cicli di deposizione all’anno ed ad ogni ciclo può deporre nella sabbia a 10-15 cm di profondità fino a 160 uova, che schiudono dopo circa 2 settimane), nell’arco di 2-3 generazioni la crescente densità di popolazione e il subentrante periodo di siccità porteranno ad una situazione di collasso che indurrà profonde trasformazioni nella fisiologia degli individui, preparandoli ad una fase gregaria e migratoria.

Due forme vitali
Gregaria e migratoria, stanziale e solitaria sono le due forme vitali che si alternano nella vita di una locusta.


Disegno di De la Cour, inciso da R. White, in Thomas Pennants, “Un giro in Galles” 1781.

Durante la stagione secca, che interessa gran parte della loro vita non più lunga di 4/6 mesi, le locuste vivono un’esistenza solitaria, dedicata unicamente alla sopravvivenza, e nascosta: i loro esoscheletri di colore marrone li mimetizzano nell’ambiente desertico. In questi periodo di riposo l’areale delle locuste del deserto si estende per circa 16 milioni di chilometri quadrati, dalla Mauritania, attraverso il deserto del Sahara, alla penisola Araba, fino all’India.
Nel corso delle fasi migratorie l’area si espande a nord e a sud, raggiungendo l’Europa meridionale, la Russia, la Nigeria ed il Kenya, interessando un’area di 32 milioni di chilometri quadrati, circa il 20% delle terre emerse.

Due forme tanto diverse da aver ingannato gli entomologi convinti, fino alla metà del secolo scorso, che l’insetto marrone chiaro e solitario che vive nel deserto e l’insetto giallo delle infestazione appartenessero a due differenti specie.
Differenze nella colorazione della livrea, in un così radicale cambio nello stile di vita, che segnalano profonde alterazioni metaboliche e che potrebbero fornire indicazioni utili per una efficace opera di contenimento delle infestazioni.
Ricerche eseguite presso le università di Oxford e Cambridge hanno mostrato che è la serotonina il neurotrasmettitore alla base della regolazione del comportamento dello locuste: in condizioni di sovraffollamento questa molecola attiva la produzione di segnali chimici (feromoni) utilizzati per la comunicazione che innescano un comportamento gregario e portano alla formazione di aggregazioni addensate (oltre 100 locuste per metro quadro), concentrazioni di milioni di individui e, in seguito, alla formazioni di sciami. Devastanti.

Numeri da capogiro
I numeri sono impressionanti: uno sciame di media grandezza è formato da 30-40 milioni di individui; in un chilometro quadrato si possono contare fino a 80 milioni di locuste; in Kenya, in questi giorni, è stato segnalato una sciame largo 40 km e lungo 60 km, cioè 2400 km2!


Un uomo corre attraverso uno sciame di locuste, Nairobi, Kenya. 24 gennaio 2020.

Dato che le locuste, oltre ad avere un regime alimentare polifago, nutrendosi di pressoché tutto ciò che sia commestibile – foglie, fiori, germogli, frutti e semi di diverse specie di piante –  sono alquanto voraci, le conseguenze della loro diffusione possono dimostrarsi catastrofiche.
Se possibile, i numeri sono ancora più tremendi dei precedenti: una locusta mangia in un giorno una quantità di vegetali pari al proprio peso corporeo, ossia 2 grammi; abbinando questo valore all’enorme numero di locuste che compone una sciame medio di 60 milioni di individui, ne risulta che in una sola giornata 120 tonnellate di sostanze organiche spariscono nei loro intestini.
Bene, lo sciame di recente avvistato in Kenya, in una giornata distrugge 144.000 tonnellate di foglie, germogli, frutti semi; un livello di consumo per pasto equiparabile a quello di 85 milioni di persone.


Locuste posate su piante della savana africana.

E se i cereali risultano essere i più apprezzati dalle locuste, la distruzione del sorgo, in particolare, è una tragedia nella tragedia per le popolazioni delle aree aride, perché questa specie, l’unica in grado di svilupparsi in condizioni di scarsa piovosità e di resistere a prolungate carenze idriche, in molti contesti rappresenta il principale alimento.


Campo di sorgo.

Una situazione estremamente allarmante
Qualche giorno fa la FAO ha annunciato che il Sud Sudan si è aggiunto a Somalia, Gibuti, Etiopia, Kenya, Uganda e Tanzania nella lista dei paesi dell’Africa orientale colpiti dall’emergenza locuste. Questi insaziabili insetti stanno devastando raccolti e vegetazione di nazioni già colpite da carestie, alluvioni, instabilità politica e guerre civili. Il Kenya, con l’attività agricola che copre un terzo del Pil nazionale, sta attraversando la peggiore invasione di locuste degli ultimi 70 anni. Il fenomeno sta raggiungendo livelli incontrollabili non solo a causa della velocità di diffusione della infestazione ma anche a causa degli strumenti inadeguati di contenimento messi in atto con colpevole ritardo. La FAO avverte che potrebbe essere messa a rischio la sicurezza alimentare di circa 25 milioni di persone, una situazione definita dalla Nazioni Unite «estremamente allarmante».
La remota storia delle migrazioni di locuste potrebbe convertirsi nella recente storia delle migrazioni da locuste.

Dal vivo
Solo chi vive su se stesso e sui propri famigliari le conseguenze di questa devastazione può parlarne con angoscia e disperazione. Noi non possiamo fare altro che riportare le testimonianze di chi, per incarichi istituzionali, ha dovuto vedere e misurare la terrificante capacità distruttiva degli sciami. Un segno dell’implacabile potere della natura, di fronte al quale siamo impotenti.
La descrizione vivida di una popolazione di locuste fuori controllo fatta dall’esperto Martin Enserik in Marocco:
… ci appare evidente, anche da lontano, che c’è qualcosa che non va con gli alberi di questo piccolo villaggio. Sono completamente coperti da una patina gelatinosa rossastra, come se le foglie stessero cambiando colore … Ma via via che ci avviciniamo, ci accorgiamo che quella patina è infatti una massa in movimento che si dimena; si tratta di un gigantesco agglomerato di insetti che ricopre ogni singolo albero e ne divora le foglie. Andando ancora più vicino si sente come una pioggerellina: è il flusso continuo di escrementi che cascano sul terreno”.
Il racconto di Majid Chaar, giornalista televisivo ed in seguito responsabile del Servizio Rapporti con i Media della FAO, di un volo in elicottero in Tunisia nel 1988 alla ricerca di sciami di locuste da filmare:
“Era come un ombrello nero che calava su di noi … Improvvisamente il cielo si oscurò ed il motore cominciò a fare strani rumori, perché le prese d’aria si erano intasate per gli insetti. A stento riuscimmo a rimanere in quota. Intorno a noi ce n’erano milioni, una specie di tempesta di sabbia di locuste. Ricordo che l’elicottero iniziò a sbandare pericolosamente. A stento riuscivamo a vedere dove andavamo a causa di tutta quella massa appiccicata al parabrezza. Ho veramente avuto paura, ma alla fine siamo riusciti ad operare un atterraggio d’emergenza in un campo d’olivi”.

Scarsa generosità
76 milioni di dollari, il denaro necessario per intensificare l’irrorazione dei pesticidi aerei, l’unica attuale misura efficace per contenere le locuste, nonostante le dimostrate controindicazioni per la salute umana e l’azione di indiscriminata decimazione di tutte le altre specie di insetti. Ma, quand’anche fosse possibile, non si potrebbe attuare in tutte le zone: in Somalia, parti del paese sono controllate dal gruppo estremista di al-Shabab; sia il Kenya che l’Etiopia dispongono entrambi di solo quattro aerei operativi; e servirebbe una fornitura costante di pesticidi, ora non garantita.
Comunque sia, ad ora l’ONU ha ricevuto solo 21 dei 76 milioni richiesti.
Paradosso: le locuste sono commestibili e rappresentano un’ideale fonte alimentare proteica, ma se ne sconsiglia vivamente il consumo perché nel contrasto all’invasione si utilizza anche l’insetticida neurotossico chlorpyrifos.

Dagli albori dell’agricoltura
Libro di Gioele, Capitolo 1, versetti 4-7: «Ciò che la locusta tagliente ha lasciato, la locusta brulicante ha mangiato. Cosa ha mangiato la locusta sciamante, la locusta saltellante e cosa ha mangiato la locusta saltellante, la locusta distruttrice».
Corano, 54, 7-8: «Usciranno dai sepolcri, gli occhi bassi, come fossero locuste sparpagliate, avanzeranno rapidamente, il collo teso, verso il nunzio. Diranno agli infedeli: “Questo è un giorno tremendo”».
Da sempre l’uomo si confronta, scontra con questi indomabili organismi, dotati di risorse contro le quali l’uomo è impotente. In modo intermittente.
Nel secolo scorso, gravi infestazioni si sono verificate tra il 1926 e il 1934, dal 1940 al 1948, dal 1967 al 1969 e dal 1987 al 1989. Durante quest’ultima, frammenti di sciami sono giunti nell’Europa meridionale e un consistente numero di locuste ha raggiunto la Sicilia: migliaia di cavallette furono rintracciate, nel maggio del 1988, nel centro storico di Siracusa e, in misura minore, anche a Catania e in altri centri dell’Isola. L’arrivo nell’isola era stato favorito dai forti venti che spiravano dall’Africa alla Sicilia.

Fattori concomitanti
Tuttavia, questa nuova infestazione, anche in relazione alle sempre maggiori dimensioni che sta assumendo, si collega ad una recente problematica.
«C’è un collegamento tra il cambiamento climatico e la crisi senza precedenti provocata dalle locuste che stanno martoriando l’Africa orientale. Con i mari più caldi aumentano i cicloni e questo genera il terreno riproduttivo perfetto per le locuste. Oggi gli sciami raggiungono le dimensioni di grandi città e la situazione peggiora di giorni in giorno». Sono parole del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.
Potrebbe essere stata una concomitanza di condizioni meteorologiche e climatiche inusuali a causare la nuova devastante invasione di locuste. In condizioni normali, nel passato, trascorrevano anni tra un ciclone ed il successivo nel Mar Arabico. Ma il 2018 e, soprattutto, il 2019 si sono dimostrati anni estremi e la parte settentrionale dell’Oceano Indiano ha registrato il maggior numero di giorni con uragani in azione e ha raggiunto il picco “di accumulo di energia da ciclone”, indice che quantifica la potenza distruttiva di questi eventi. Nell’autunno del 2019 il cosiddetto “dipolo dell’Oceano Indiano”, ossia la differenza di temperatura tra le due sponde del bacino oceanico che è alla base del grado di tempestosità dell’area, ha raggiunto il massimo valore dal 1870 ad oggi. E le conseguenze, che si manifestano con esiti meteorologici di segno opposto, sono note a tutti: da una parte, l’Australia, forti venti secchi, caldi estremi e siccità; dall’altra, l’Africa, intense e concentrate piogge.
È precisamente l’alternanza di periodi di siccità e di periodi di intensa piovosità a favorire la riproduzione e la diffusione delle locuste.

Un luogo inospitale

Wilfred Thesigher, l’autore di Sabbie arabe, fu il terzo europeo ad attraversare il Rub el-Khali, il Quarto Vuoto, forse il luogo più inospitale della Terra, un triangolo esteso tra Oman, Arabia ed Emirati Arabi. Si trovava nella penisola arabica per esplorare e mappare le popolazioni di locuste del deserto che in questo ambiente, per quanto ostile, si sono stabilite, dedicandosi solamente alla pura sopravvivenza.

Ma talvolta piove anche nel Rub el-Khali. E tutto cambia, soprattutto per le locuste.
La storia della recente invasione di locuste inizia proprio sulle sabbie di questo deserto, nel maggio del 2018.

A tappe ravvicinate
Fine maggio 2018: il ciclone Mekunu colpisce la penisola arabica; in tre giorni a Salalah, città portuale nell’Oman, cadono oltre 600 mm di pioggia; nel deserto del Rub el-Khali, che non riceve quasi mai più di 30 mm di pioggia all’anno, si formano laghi.

In questo ambiente umido per le locuste inizia una nuova vita: le uova, depositate nella sabbia e inattive da mesi, si schiudono; gli adulti si riproducono in modo talmente frenetico che in soli tre mesi la popolazione può accrescersi di 20 volte; inizia la loro fase gregaria e gli adulti in grado di volare assumono una colorazione giallo brillante, non sono più mimetici, ma nessun problema, sono troppi anche per i predatori.
Ottobre 2018: mentre si sta per concludere il secondo ciclo riproduttivo delle locuste, un secondo ciclone, il ciclone Luban, riversa sulla penisola arabica altri 300 mm di pioggia; la nuova vegetazione dà avvio ad un nuovo ciclo riproduttivo e, dopo soli sei mesi dal primo ciclone, la popolazione è cresciuta di 400 volte.
Febbraio 2019: la popolazione di locuste è 8000 volte più numerosa di quanto fosse prima dell’arrivo delle piogge; il cibo si sta esaurendo; le locuste più anziane emettono un feromone che segnala che è giunto il momento di muoversi verso altre regioni in sciami compatti.
A Roma, nella sede della FAO, si seguono con attenzione le dinamiche dei due cicloni abbattutisi sulla penisola arabica: rappresentano le condizioni perfette per la riproduzione delle locuste; con previsioni accurate si potrebbe tenere sotto controllo la crescita delle locuste, trattando la terra dove sono state deposte le uova con un insetticida; ma l’area è remota e vasta, non è facile quantificare le dimensioni del fenomeno e si rischia di intervenire quando ormai le locuste hanno iniziato a spostarsi.
Inizio 2019: per alcuni mesi i venti sospingono gli sciami di locuste verso sud, nello Yemen; altra pioggia, altra vegetazione e una nuova generazione; il conflitto nel paese impedisce qualsiasi intervento e le locuste crescono indisturbate; lo sciame è ormai 160 mila volte più numeroso della popolazione iniziale.


Uno sciame di locuste sorvola il villaggio di Abyan in Yemen, alla ricerca di un’area ideale per deporre le uova.

Metà 2019: i venti da Est trasportano le locuste in Somalia ed in Etiopia; vengono effettuati intensi interventi di controllo aereo e terrestre in Iran (712.000 ettari), Arabia Saudita (219.000 ettari) e Sudan (105.000 ettari), che riducono le popolazioni di locuste, ma non riescono ad impedire la formazione e la migrazione degli sciami nelle consuete zone di riproduzione estiva in Sudan, Yemen, Corno d’Africa e lungo entrambi i lati del confine indo-pakistano; il numero di locuste è oltre 3 milioni di volte più numeroso. Ad ottobre, le locuste giungono in Kenya.
Il numero delle locuste è enorme, ma la situazione non è ancora drammatica: le condizioni climatiche potrebbero dimostrarsi sfavorevoli alla schiusa delle uova e le locuste potrebbero esaurire i vegetali a loro disposizione. Ma non va in questo modo.
7 dicembre 2019: un altro ciclone, fuori stagione, denominato Pawan, raggiunge il Corno d’Africa, sovrapponendosi all’area di presenza delle locuste; per quanto debole, scarica sufficiente acqua da permettere alle locuste due nuovi cicli riproduttivi; 64 milioni e poi oltre 1 miliardo di volte la crescita del numero di insetti.
Si origina così la più grave invasione di locuste nel Corno d’Africa dal 1986.

Ritorno delle piogge?
La successione rapida e inusuale di tre cicloni nella penisola arabica e nel Corno d’Africa solleva una semplice domanda: se è indubbio che un numero crescente di cicloni favorisce la riproduzione di locuste, non potrebbe al contempo aumentare le precipitazioni sul suolo africano rendendo fertili luoghi attualmente inospitali?
Il Sahel è una estesa zona di transizione climatica tra la regione ultra-arida del Sahara e le e le foreste che vegetano più a sud lungo l’equatore. Si potrebbe ritenere che il riscaldamento globale potrebbe rendere più arido il Sahel, facendo avanzare a sud le dune del Sahara e accentuando le migrazioni di milioni di persone. Ma, nonostante le previsione non siano certe, potrebbe verificarsi l’opposto.
Si sa che tra i cinque e i diecimila anni fa i limiti del deserto si fermavano 500 km più a nord. Si sa che ai confini tra Ciad, Nigeria e Camerun esisteva in quel periodo un enorme lago di oltre 350.000 km2. Si sa che la regione del Sahara ha attraversato fasi sia aride che piovose secondo cicli della durata di migliaia di anni: i periodi più freddi delle ere glaciali erano di solito i più aridi, mentre nei periodi interglaciali le precipitazioni aumentavano.
Attualmente le scarsissime precipitazioni nel Sahara sono dovute ad un monsone, molto più debole di quello indiano, ma di fatto l’unica fonte affidabile di acqua piovana.
Il funzionamento dei monsoni è abbastanza semplice: in estate la terra si riscalda più rapidamente degli oceani circostanti; l’aria calda nell’entroterra sale; si crea un’area di bassa pressione e l’aria più umida degli oceani è risucchiata all’interno.
I modelli prevedono un riscaldamento delle terre più intenso del riscaldamento delle acque e, come conseguenza, un potenziale incremento dell’intensità dei monsoni. Anche di quello africano.
Accadrà veramente?
Prima di qualsiasi conclusione è necessario segnalare due cose: durante il primo Olocene il sole estivo dell’emisfero boreale era un po’ più intenso di quello odierno, a causa di un lieve spostamento ciclico dell’orbita della Terra, e la differente distribuzione del calore solare tra i due emisferi accentuava la dinamica del monsone africano; inoltre le precipitazioni non andavano oltre i 100 mm, adatti al massimo ad una vegetazione di savana.
I modelli danno risposte controverse, alcuni prevedendo condizioni di maggiore umidità e altri, all’opposto condizioni di maggiore aridità.
In generale, però, con il riscaldamento globale si ipotizzano condizioni di più violente siccità in aree della Terra sempre più estese: le siccità moderate raddoppieranno entro il 2100 e quelle estreme saliranno al 30%. In altri termini, un terzo delle terre del pianeta si troverebbe privo di acqua.
Con il crescere delle temperature le terre si surriscaldano, aumenta l’evaporazione e si seccano; la vegetazione si riduce e all’arrivo delle piogge il suolo fertile viene portato via. Potrebbe apparire un paradosso ma, anche in presenza di una maggiore piovosità annua, una concentrazione accentuata delle precipitazioni finirà per inaridire il suolo. 

Nessuna possibilità di controllo?
Ritornando al tema dell’articolo, è inevitabile chiedersi se esistono, si stanno sperimentando, che possibilità di successo avranno, vecchie e nuove forme di contenimento delle infestazioni.
L’intervento aereo con spargimento di insetticidi è una scelta quasi obbligata: si opera durante la notte, quando gli insetti sono posati a terra, ma l’efficacia sugli insetti adulti è scarsa, mentre il loro impatto ambientale è elevato.
Gli antagonisti naturali delle locuste, gli uccelli, hanno modificato il loro comportamento: a seguito dell’aumento delle temperature nelle zone temperate, anticipano le loro migrazioni verso l’Europa prima che le locuste invadano i territori del Corno d’Africa.
Si cerca di intervenire prevenendo la formazione degli sciami, spargendo insetticidi sulle aree di deposizione delle uova prima che gli adulti acquisiscano il comportamento gregario. Ma non è semplice e lo dimostra il fallimento delle operazioni di monitoraggio messe in campo in questa recente situazione.
PAN
Presso il Centro Internazionale per la Fisiologia e l’Ecologia degli Insetti (ICIPE) di Nairobi, sono stati sviluppati sistemi di controllo biologici. Il fenilacetonitrile, il feromone che governa il comportamento gregario degli esemplari adulti alati (utilizzato anche per tenere lontani gli altri maschi durante le fasi di accoppiamento), abbreviato in PAN, è stato sintetizzato artificialmente e sperimentato sugli esemplari giovani, prima che questi sviluppassero l’atteggiamento gregario. Gli effetti sono stati incoraggianti: questo segnale chimico, oltre che far riprendere alle cavallette un comportamento solitario, le confonde e le disorienta, alcune smettono di nutrirsi mentre altre diventano cannibali e iniziano a divorarsi l’un l’altra, infine i pochi esemplari sopravvissuti diventano facili vittime dei predatori.
Il PAN si dimostra interessante anche per un’altra ragione: ne bastano piccole dosi, meno di 10 ml per ettaro, con i costi che si riducono di oltre venti volte rispetto ai pesticidi chimici e quaranta volte rispetto ai bio-pesticidi.
Ma funziona ad una precisa condizione: che si identifichi con precisione sia il luogo sia il momento in cui avviene la riproduzione delle locuste. E, come già scritto, in questa ultima invasione non è stato possibile arrivare in tempo.
Green Muscle®
Un’alternativa è rappresentata da Green Muscle®, un bio pesticida sviluppato dall’Istituto Internazionale per il controllo biologico dell’Agricoltura Tropicale, in Benin, che viene prodotto in Sudafrica.
Green Muscle® contiene le spore di un fungo che germoglia nella pelle delle locuste e penetra nel loro esoscheletro, distruggendone i tessuti dall’interno.
Questo fungo non ha alcun effetto su nessun altra forma di vita ed è stato già impiegato con successo in Australia.
Tuttavia la sua introduzione in Africa ed Asia è stata rallentata da diversi fattori: servono sperimentazioni su larga scala; in molti paesi deve ancora essere approvato ufficialmente; nella sua forma normale, liquida e pronta per essere spruzzata, dura poco. Oltre a ciò, impiega giorni per uccidere le locuste, è relativamente costoso ed ancora non è stata avviata la sua produzione su scala industriale.
I regolatori di crescita
Regolatori della Crescita degli Insetti (IGR l’acronimo inglese), sono sostanze che influenzano la capacità delle cavallette di mutare e crescere, senza avere alcun effetto tossico diretto sui vertebrati.
Sono utilizzati nei cosiddetti trattamenti a barriera: si applicano solo fasce sottili di pesticida, perpendicolari alla direzione degli eserciti di cavallette in marcia; bastano una o due barriere di attraversamento per provocare la morte delle locuste.
Ma, come per i precedenti prodotti, anche l’IGR deve essere utilizzato ad uno stadio precoce della vita delle cavallette, prima cioè che abbiano le ali e prendano il volo, diventando locuste.
Sorveglianza
In definitiva, per bloccare il problema sul nascere è necessario un livello avanzato di sorveglianza e di raccolta delle informazioni.
Le unità mobili sul campo, il cui compito è quello di tenere d’occhio la popolazione di locuste, lavorano in alcune delle regioni più remote, più calde e talvolta (per motivi ambientali o di sicurezza) anche tra le più ostili del mondo. Può passare una settimana o più prima che un rapporto – diciamo per esempio dal Sudan – arrivi al Servizio di Prevenzione Locuste. Ma a quel punto le locuste potrebbero già essersi spostate.
Di recente le unità mobili sono state dotate di speciali dispositivi manuali con i quali registrare informazioni sulle locuste e trasmetterle in tempo reale alle loro basi nazionali ed alla FAO a Roma.
eLocust2, sviluppato dall’Agenzia Spaziale francese CNES, è in grado di raccogliere le informazioni dai satelliti e diramarle ai Centri Nazionali di Controllo delle Locuste del paese colpito da dove pochi minuti dopo raggiungo i servizi di prevenzione.

[Ci siamo avvalsi degli articoli pubblicati su: Avvenire, L’Osservatore Romano, il manifesto, Internazionale. Abbiamo consultato il sito della FAO e ci siamo ricordati del sempre utile libro di Lynas Mark, “Sei gradi”, Fazi Editore.]
Di migrazioni, di locuste, di migrazioni ultima modifica: 2020-03-14T14:03:48+00:00 da Giorgio Della Valle

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