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Alluvione in Romagna: tre interventi di Legambiente

Alluvione in Romagna: tre interventi di Legambiente

 

Comunicato stampa   Bologna, 18 maggio 2023

1. Non è un terremoto, è il cambiamento climatico

Alternanza siccità-alluvioni, emergenza 365 giorni l’anno: “Basta schizofrenia sulle politiche climatiche, serve un piano di adattamento ad effetto immediato”

La Regione Emilia-Romagna ed il Governo la smettano di investire denaro in opere autostradali o nel rigassificatore e si occupino di sicurezza del territorio.

Retorica allarmista fuori luogo: le mappe alluvionali di ADBPO e i report sul dissesto idrogeologico di ARPAE parlavano chiaro.

 

 

Legambiente da tempo denuncia quanto sta accadendo nel nostro Paese ed ha diffuso i nuovi dati della mappa del rischio climatico, nell’ambito dell’Osservatorio CittàClima. A preoccupare è anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a oggi, nella nostra penisola si sono verificati 1638 eventi estremi. Gli impatti più rilevanti si sono registrati in 843 comuni italiani.

Eventi come quelli avvenuti negli ultimi giorni stanno diventando sempre più intensi e violenti a causa del riscaldamento globale e l’Italia è uno dei paesi più esposti e vulnerabili.

Dispiace constatare ancora una volta che il disastro a cui abbiamo assistito era ed è annunciato da tempo. L’allarme siccità, la fragilità idraulica a cui si aggiunge lo scellerato consumo di suolo oggi ci mettono davanti al fatto che la nostra Regione continua a perdere tempo senza realizzare le misure necessarie all’adattamento alla crisi climatica.

Nonostante da anni la scienza parli di cambiamento climatico e quali effetti esso avrà sul nostro futuro, qualcuno continua a chiamarlo maltempo o altri addirittura arrivano a paragonarlo ad un evento imprevedibile come un terremoto. Sono invece evidenti le responsabilità sia della classe politica, che a parte gli annunci non ha evidentemente colto il significato di “emergenza climatica” e del carattere estremo degli eventi che essa può produrre (che in futuro potrebbero essere addirittura più intensi di quelli a cui abbiamo assistito), sia del sistema economico che non sta compiendo la transizione ecologica nei tempi indicati dalla scienza, spesso in assenza di indicazioni chiare da parte della politica: questa situazione lascia le persone e le comunità in balìa di fenomeni che invece dovranno essere gestiti in maniera strutturale in futuro, quando potranno diventare anche più frequenti.

Siamo stanchi delle passerelle politiche che, con indosso la giacca della Protezione Civile, ci raccontano che “l’Emilia Romagna è grande, risorgeremo e torneremo come prima” perché è proprio quel come “prima” che ha portato in questi ultimi giorni l’acqua nelle case di tanti nostri concittadini.

La retorica dell’amministrazione, che equipara l’evento alluvionale al terremoto in Emilia, è fuorviante. La città di Bologna e l’area del ravennate ad esempio sono state inserite tra le aree a rischio potenziale significativo (APSFR) nel quadro del secondo ciclo della Direttiva Alluvioni. La modellistica della cartografia elaborata dalla stessa regione permetteva infatti di conoscere l’estensione dell’allagamento per diversi scenari di alluvione, l’altezza che può raggiungere l’acqua fuoriuscita dagli alvei e la superficie marina rispetto al piano campagna.

L’alternarsi di fenomeni di precipitazione intensa e una condizione di siccità persistente in un territorio ampio è la prova che nella nostra regione il cambiamento climatico si fa sentire 365 giorni l’anno. Non si tratta più di calamità da affrontare singolarmente, ma di un quadro complesso per il quale occorre svolgere azioni di controllo e di prevenzione che garantiscano, oltre alla qualità della vita delle persone, anche la protezione degli ecosistemi che sono un tassello fondamentale per mitigare gli effetti di questi eventi estremi.

Per quanto riguarda l’azione della Regione Emilia-Romagna di fronte a un simile scenario, ribadiamo la nostra posizione: è necessario che le azioni dei singoli assessorati della Regione siano coerenti e convergano verso un obiettivo comune, quello della mitigazione e dell’adattamento al cambiamento climatico.

Continuiamo invece ad assistere a scelte illogiche, anacronistiche e contraddittorie, le cui conseguenze ricadranno su tutti, in senso globale e per lungo tempo.  La stessa giunta che ha promosso il Patto per il Lavoro e il Clima, che prometteva una legge regionale per il clima, che ha promesso di coprire il 100% della domanda di energia con fonti rinnovabili al 2035, ha mantenuto in essere e difeso progetti ad alto impatto climalterante come le infrastrutture autostradali ( Passante di Bologna, autostrada Cispadana, Bretella Campogalliano-Sassuolo), ha dato pieno supporto al Rigassificatore di Ravenna, auspicando l’installazione di un secondo impianto, e non ha ancora trovato una soluzione definitiva al problema del consumo di suolo, che in questi ultimi anni si sta concretizzando nell’assalto dei nuovi poli della logistica ai terreni vergini della regione.

Sono passati 8 anni dall’Accordo di Parigi che fissava come obiettivo l’incremento massimo di 1.5°C delle temperature globali rispetto alle temperature preindustriali.  Oggi l’IPCC avverte che ci sono 2 probabilità su 3 di superare questa soglia entro il 2027, con la quasi certezza che le prossime cinque estati saranno le più calde mai registrate nella storia dell’umanità. In questo contesto, ogni ettaro di terreno cementificato, ogni milione speso in opere ad impatto climatico negativo, ogni ritardo nella realizzazione degli impianti di fonti rinnovabili produce conseguenze sulla qualità della vita e la salute delle persone. Sempre la scienza ha individuato le soluzioni da adottare: ridurre le emissioni climalteranti da tutti i settori, a partire da quello energetico, e promuovere il processo di adattamento per far fronte al nuovo clima che è già cambiato. Tutto questo va fatto adesso, senza ritardi e senza contraddizioni.

 

Comunicato Stampa   Roma, 23 Maggio 2023

2. Alluvione Emilia-Romagna e Marche

I dati aggiornati dell’Osservatorio Città clima: dal 2010 a maggio 2023 in Italia si sono registrati 1674 eventi climatici, uno ogni tre giorni.  Le prime tre misure urgenti da mettere in campo.

Legambiente: “Si investa in prevenzione, si adotti subito il piano nazionale di adattamento clima, ancora in standby e si approvi una legge contro il consumo di suolo. Queste le prime tre misure più urgenti da mettere in campo per rispondere alla crisi climatica”.

 

 

In questi giorni di emergenza occorre denunciare con forza l’impatto della crisi climatica e chiedere misure adeguate e lungimiranti di adattamento.

Per questo abbiamo portato all’attenzione del Governo i dati sconvolgenti dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente: in Italia, dal 2010 ad oggi (maggio 2023) si sono verificati 1674 eventi estremi, uno ogni tre giorni.

Un dato davvero preoccupante visto che l’Italia ad oggi continua a rincorrere le emergenze, pagando anche in termini di vite umane.

Bisogna intervenire subito: non c’è tempo da perdere.

Ecco le 3 proposte che presentiamo al Consiglio dei Ministri:
  1. Occorre investire in prevenzione adottando subito il Piano di Adattamento al Clima.
  2. Chiediamo che vengano stanziate risorse economiche adeguate per attuarlo.
  3. E’ urgente l’approvazione di una legge contro il consumo di suolo, una risorsa preziosa, vulnerabile e limitata, che custodisce la biodiversità ed è deturpata dalla cementificazione.

Cosa è stato fatto per prevenire tragedie come l’ultima in Emilia-Romagna e nelle Marche? Troppo poco.

In questi anni per le opere di prevenzione sono stati spesi oltre 10 miliardi di euro, ma in modo inefficace, il più delle volte per realizzate opere già superate che hanno risposto solo alla logica dell’intervento difensivo, “puntuale”.

Non possiamo permettere che si continuino a commettere gli stessi errori.

In Italia, dal 2010 ad oggi (maggio 2023) si sono verificati 1674 eventi estremi, uno ogni tre giorni. Un dato preoccupante visto che l’Italia ad oggi continua a rincorrere le emergenze, pagando anche in termini di vite umane. È quanto denuncia Legambiente che oggi, in occasione del CDM su alluvione in Emilia-Romagna e Marche, diffonde i suoi dati aggiornati dell’Osservatorio CittàClima indicando al Governo Meloni i primi tre interventi più urgenti da mettere in campo: investire in prevenzione, adottare subito il piano di adattamento al Clima, ancora in standby, stanziando le adeguate risorse economiche per attuarlo ad oggi assenti e approvare una legge contro il consumo di suolo. Per l’associazione ambientalista il Governo Meloni deve avere il coraggio di mettere al centro, in primis, questi tre interventi per dare un segnale forte di risposta e di contrasto alla crisi climatica.

“In questi anni – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – per le opere di prevenzione sono stati spesi oltre 10 miliardi di euro in modo inefficace. Il più delle volte sono state realizzate opere già superate che hanno risposto solo alla logica dell’intervento difensivo, “puntuale”, che ha provato a risolvere il problema locale senza considerare ciò che poteva accadere a monte o a valle dell’intervento. Per questo è fondamentale che da ora in poi il Paese non commetta più gli stessi errori e ritardi, deve dotarsi di un piano di adattamento ai cambiamenti climatici come già hanno fatto quasi tutti i paesi europei e soprattutto deve definire una seria politica del territorio mancata in questi anni, programmando al tempo stesso più politiche territoriali di prevenzione, campagne informative di convivenza con il rischio e una legge nazionale contro il consumo di suolo che il Paese aspetta da undici anni. È chiaro che la crisi climatica ha accelerato la sua corsa come raccontano anche i dati del nostro Osservatorio CittàClima, ma l’Italia deve reagire per non trovarsi più impreparata e per farsi che la tragedia che ha colpito Emilia-Romagna e Marche non sia la penultima”.

Focus su Emilia-Romagna e Marche: Per Legambiente la conferma che le risorse spese fino ad oggi a livello nazionale sono state inefficaci arriva dai dati della banca data del Rendis. In Emilia-Romagna, risono stati messi in cantiere 529 progetti e opere dal 1999 al 2022 (il 4,7% delle opere totali a livello nazionale) di cui 368 risultano concluse. L’importo totale dei soldi destinati alla prevenzione sono stati 561 milioni ed i lavori ultimati hanno cubato il 45% dell’importo (258 milioni su 561). In Emilia-Romagna 2,7 milioni di persone sono esposte a rischio alluvione (il 62% della popolazione regionale) e circa 87mila persone a rischio frana. Il 57% del territorio è classificato a rischio alluvione media e alta.

Nelle Marche gli interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico sono stati 476 tra il 1999 e il 2022, di cui 272 ultimati. L’importo totale stanziato per le opere è di 321 milioni di euro, di cui 161 per i lavori che risultano ultimati. A livello regionale sono circa 80mila i cittadini esposti a rischio alluvione e 33mila quelli a rischio frana. Il 7,8% del territorio è classificato a pericolosità da frana elevata e molto elevata mentre il 2,8% a pericolosità alluvionale media ed elevata.

 

Bologna 28 Maggio 2023

3. Legambiente Emilia-Romagna: Lettera aperta al Sindaco di Ravenna de Pascale, no non è colpa delle nutrie e degli ambientalisti

 

 

Sindaco de Pascale, in questi giorni su alcuni quotidiani nazionali è stata pubblicata una sua intervista che ci lascia basiti. Mentre altri sindaci intervistati hanno ammesso la corresponsabilità di scelte di pianificazione e gestione territoriale sbagliate alla luce di quanto è avvenuto, lei ha scelto di dare la colpa a nutrie e ambientalisti. Vorremmo quindi mettere in fila alcuni elementi per fare chiarezza.

A sottolineare la necessità che fossero quanto prima realizzate le casse di espansione del fiume Senio sono stati per primi gli ambientalisti che, negli ultimi 15 anni, hanno più volte chiesto spiegazione rispetto ai ritardi, cercando in ogni modo di spronare gli Enti competenti a realizzare rapidamente il progetto; per certo, quindi, non può essere imputata a noi la mancata realizzazione di questa opera.

Gli ambientalisti dicono no al rigassificatore perché non solo non è uno strumento per gestire in via emergenziale un periodo di prezzi dell’energia elevati, ma è addirittura un intervento strutturale che ci legherà al fossile per i prossimi 25 anni con ulteriori emissioni climalteranti.

La relazione diretta tra gli stessi cambiamenti climatici prodotti dalle emissioni di gas serra e la nefasta alternanza di lunghi periodi di siccità e periodi di piogge molto intense è certificata dalla comunità scientifica internazionale. I dati dei climatologi parlano chiaro: ogni aumento di 0,5 gradi della temperatura globale comporta il raddoppio o la triplicazione degli eventi estremi.

Dati del Quinto Rapporto IPCC indicano che il metano ha un potenziale di riscaldamento globale da 28-36 volte superiore alla CO2 su un periodo di tempo di 100 anni e di 84-87 volte superiore su un periodo di tempo di 20 anni. È stato stimato che il metano rilasciato in atmosfera è responsabile al 18% dell’incremento dell’effetto serra. La combustione di metano è poi alla base di ulteriori emissioni di anidride carbonica, gas serra primo responsabile del cambiamento climatico.

Non è quindi a causa delle nostre convinzioni contro l’energia fossile che siamo costretti a misurarci con tragedie ambientali come quella che ha colpito la nostra regione. Anzi, proprio per questi motivi abbiamo chiesto che, oltre a smettere di costruire nuove infrastrutture per il trasporto di gas, si provveda a riparare quelle esistenti, responsabili di perdite significative e dannose sia per il clima, sia per la sicurezza energetica del Paese.

Gli ambientalisti dicono sì alla manutenzione di fiumi e canali, a patto però che sia ben fatta e continuativa. Purtroppo, invece, vengono stipulati contratti di manutenzione che prevedono che una parte dei guadagni delle ditte esecutrici derivi dalla vendita del legno: questo fa sì che vengano realizzate manutenzioni a dir poco spregiudicate, come testimonia anche il lavoro dei Carabinieri Forestali: solo nel 2020 sono stati eseguiti in questo campo 886 controlli di cui 127 hanno accertato irregolarità.

Non va poi dimenticato che anche le aziende agricole proprietarie o concessionarie di terreni che confinano con fiumi e canali hanno l’obbligo di fare manutenzione affinché lo scorrere dell’acqua non sia intralciato dalla vegetazione. Questo richiama la responsabilità di controllo delle amministrazioni competenti, perché la manutenzione va fatta ma va anche sorvegliata.

Come ha ricordato il Segretario dell’Autorità di Bacino del fiume Po, nemmeno la manutenzione ordinaria e straordinaria degli argini la gestione di sedimenti e vegetazione ripariale saranno in futuro attività sufficienti, proprio alla luce del cambiamento climatico. Il raggiungimento di quote limite per l’altezza degli argini è un segnale d’allarme che deve portare a un cambiamento d’approccio nella pianificazione che, come ricordato sempre dal Segretario, dovrà orientarsi verso l’incremento dello spazio disponibile per la divagazione dell’acqua, arretrando le arginature e creando nuove golene, aumentando quindi i volumi contenibili all’interno degli argini ma lavorando in termini di superficie, non di altezza. Questo richiederà sforzi economici, compreso quello per delocalizzare alcuni insediamenti, ma si tratta di un sacrificio necessario per evitare ulteriori crisi come quella avvenuta nelle scorse settimane.

Né va ignorato il contributo significativo, in negativo, dato dal consumo e dall’impermeabilizzazione del suolo, che oltre a ridurre la superficie capace di trattenere i volumi d’acqua che si scaricano a terra, determina effetti negativi sulla possibilità di ricarica delle falde freatiche e quindi sulla capacità dei territori di far fronte alla siccità, l’altra (ben nota) faccia della medaglia del cambiamento climatico. In un comunicato stampa dell’agosto scorso evidenziavamo come, secondo i dati ISPRA relativi all’anno 2021, fra i comuni italiani Ravenna risultava secondo solo a Roma per incremento del consumo di suolo.

In ultimo, nessuno mette in dubbio che le nutrie, così come le specie fossorie in genere, contribuiscano a rendere le sponde dei fiumi meno solide, ma credere che abbiano avuto un ruolo determinante negli effetti devastanti a cui abbiamo assistito, peraltro in un’area così vasta e diversificata in quanto ad habitat locali presenti, ha il sapore di una chiacchiera da bar che non fa onore ad un amministratore del nostro territorio.

Vuole farci credere che le proteste degli animalisti rallentino la soluzione del problema? Basta leggere un po’ di letteratura scientifica per sapere, tra l’altro, che l’abbattimento massivo di questi animali non è la soluzione. Lo dicono gli studi sulla specie e lo conferma la sua espansione in Europa.

Siamo peraltro da qualche tempo impegnati, come associazione, insieme al Consorzio della Bonifica Renana e all’Università di Bologna, nel progetto Life Green4Blue, che ha tra i suoi obiettivi il ripristino della biodiversità in pianura anche attraverso il contenimento di due specie alloctone invasive, tra le quali proprio la nutria (Myocastor coypus). In tale contesto si sta sperimentando un metodo di contenimento innovativo e non cruento, lo stesso recentemente adottato dal Ministero anche per il cinghiale.

Un’amministrazione che è stata in grado di far autorizzare un rigassificatore in 120 giorni dovrebbe essere in grado di acquisire con la stessa velocità tutte le informazioni scientifiche che Ministeri e Centri di ricerca mettono a disposizione per fare le scelte giuste, ben diverse da quelle che la sua Amministrazione sta compiendo.

Con buona pace delle analisi che il fior fiore di scienziati, tecnici e intellettuali stanno facendo dagli anni ‘70 ad oggi. D’altra parte, gli studi contenuti nel volume “I limiti dello sviluppo” e relativi alla capacità portante del pianeta Terra sono stati pubblicati nel 1972. Ma è evidente che per qualcuno è come se questo non fosse accaduto.

 

Alluvione in Romagna: tre interventi di Legambiente ultima modifica: 2023-05-30T17:04:52+00:00 da Giorgio Della Valle

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