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1816 – L’”anno senza estate”

1816 – L'”anno senza estate”

A Villa Diodati
1816, George Byron lascia Londra e si stabilisce a Villa Diodati a Ginevra. Nel suo rifugio, tra altri, ospita il suo medico personale, il brillante ventenne John William Polidori, Percy Bysshe Shelley e sua moglie Mary Shelley.
Quell’estate si dimostrò umida e fredda come nessuno ricordava di aver mai incontrato e la pioggia, spesso incessante per lunghi periodi, obbligava i quattro giovani a passare giorni e giorni chiusi in casa. Le serate si muovevano dai racconti di storie di fantasmi alla discussione dei principi scientifici fondamentali allora dibattuti.

Due racconti
In questa atmosfera di intensa eccitazione intellettuale, nella quale, come dice Polidori, i cervelli “ronzavano”,  Byron lancia una proposta: “Scriviamo ciascuno una storia di fantasmi” e, nella gara della narrazione, si originano due famosissimi racconti: Frankenstein di Mary Shelley e Il vampiro, iniziato da Byron e completato da Polidori.
In Frankenstein si amalgamavano le controverse idee scientifiche del periodo e la discussione sui problemi morali e sulle scelte etiche, non previste, originate dai progressi delle scienza e dalla sua ingerenza nella natura. Il tutto ricreato con immaginazione da Mary Shelley in un nuovo genere letterario: la fantascienza.

Freddo globale
Un’estate fredda, dunque.
A tal punto fredda che quell’anno, il 1816, fu battezzato, da una sponda all’altra dell’Atlantico,  “l’anno senza estate”.
Le temperature mensili furono tra i 2,3 e i 4,6°C inferiori alla media.
Jeremiah Day, presidente dello Yale College a New Haven, nel Connecticut, si alzava ogni mattina alle quattro e mezza per prendere i dati meteorologici, una tradizione ininterrotta a partire dal 1779. I valori raccolti da Day nel mese di giugno del 1816 sono decisamente bassi: una media di 18,4°C, di 2,5°C inferiore alla media calcolata tra il 1780 ed il 1960.
L’agricoltore Hiram Harwood di Bennington, nel Vermont, scrive nel suo diario che i campi erano induriti dal gelo, che il 10 giugno il grano era “difficile da vedere” e che era costretto ad indossare i guanti fino a mezzogiorno.
A New York erano affluiti migliaia di uccelli migratori provenienti dalle colline coperte di neve e cadevano morti nelle strade.

Carestie
Alle temperature basse si accompagnarono pesanti piogge nell’Europa centrale e occidentale durante tutti i vitali mesi di maturazione dei cereali.
Nel Kent, una delle regioni più calde dell’Inghilterra, un modesto raccolto di frumento si prolungò fino al 13 ottobre, 40 giorni dopo la data abituale.
Nel New England solo un quarto del raccolto di mais nel 1816 era adatto all’alimentazione.
Il crollo dei raccolti in quell’anno scatenò una crisi di sussistenza che dall’impero ottomano si estendeva a vaste zone del nord Africa, l’Europa occidentale fino alle regioni orientali del Canada, trascinando i suoi affetti a tutto il 1817.
I nostri turisti inglesi a Ginevra erano circondati dalla carestia, i prezzi del grano e delle patate erano triplicati e decine di migliaia di svizzeri erano senza cibo e senza lavoro. I poveri mangiavano l’erba dei campi, il muschio e i gatti. Il governo svizzero importò grano dalla Lombardia e da Venezia, ma spesso i carichi erano intercettati e saccheggiati sui valichi alpini e sul lago di Como. Tre donne furono decapitate per infanticidio ed i suicidi crebbero da subito.
In quell’anno tumulti e saccheggi esplosero il tutta Europa. Una folla di duemila contadini a Dundee, in Scozia, saccheggiò più di cento botteghe alimentari prima che la milizia ristabilisse l’ordine.
E divennero usuali le migrazioni di massa. Decine di migliaia di tedeschi si spostarono lungo il Reno diretti all’Olanda, sperando di riuscire ad imbarcarsi per l’America, ma le condizioni ad Amsterdam erano talmente pessime da spingere molti di essi a riprendere la faticosa via del ritorno. E non meglio andava per chi riusciva ad imbarcarsi: a Saint John’s, Terranova, novecento immigrati furono rispediti in Europa per la semplice ragione che in città c’era poco cibo.
Le conseguenze dalla carestia furono le più gravi in Irlanda: le famiglie di piccoli proprietari abbandonavano le case nella primavera del 1817 dandosi all’accattonaggio. Si stima che morirono non meno di 65000 persone.
La Svizzera, già famosa per gli orologi e i tessuti, tentò di scoraggiare l’emigrazione, temendo che vitali segreti industriali potessero essere portati in altre nazioni, ma la crescente povertà e l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari non poterono che spingere migliaia di poveri a partire.

Epidemie
Alle carestie si abbinarono le epidemie. A Glasgow, nel 1818, 3500 persone morirono di tifo e febbri ricorrenti e si ebbero 32000 casi di contagio su una popolazione di 130000 abitanti.
In Irlanda, la difficoltà di tenere accesi i focolari con torba satura di acqua, spinse i più poveri a concentrarsi nelle mense comuni, ed il contagio si diffuse con le feci ed i parassiti portatori di tifo.
Se la peste, diffusasi nell’Europa orientale, non arrivò in Europa occidentale fu grazie alle misura di quarantena attuate sulle frontiere orientali e al diffondersi di materiale in muratura in sostituzione del legno nell’edificazione degli edifici.

Cannonate?
L’11 aprile del 1815 il vascello Benares del governo britannico, in rada a Makasser, nelle Celebes meridionali, salpò verso l’isola di Sumbawa: si erano uditi tuoni simili a cannonate, da poco erano terminate le ostilità tra francesi ed inglesi per il controllo delle isole e si temevano incursioni da parte di pirati. Non trovando nulla di anomalo, il vascello ritornò in porto dopo tre giorni. Il 19 aprile le esplosioni ripresero e così intense da far oscillare le navi. Il comandante diede l’ordine di salpare, seppure sotto un cielo così scuro da impedire la visione della Luna. L’intera regione per diversi giorni fu avvolta da una fitta nebbia di ceneri e polveri.

Eruzione colossale
Il Monte Tambora, all’estremità settentrionale di Sumbawa, aveva avuto un’eruzione di entità colossale. Dopo tre mesi di attività violenta la cima del Monte Tambora si era abbassata di 1300 metri, i detriti si erano depositati sulle case dei residenti britannici fino a sessantacinque chilometri di distanza e avevano oscurato il cielo fino a 500 chilometri di raggio. Almeno 12000 persone a Sumbawa morirono durante l’esplosione e altre 44000 per la carestia seguita alla ceneri cadute sui campi e sulle piantagioni.
Secondo i vulcanologi l’esplosione del Monte Tambora è stata una delle più potenti di tutte quelle registrate, se non la più potente: l’emissione di ceneri fu più di cento volte superiore a quella del Monte Saint Helen del 1980 e maggiore di quella del Krakatoa nel 1883.
L’eruzione del Krakatoa, la prima studiata in modo razionale, è utilizzata come base per misurare l’intensità  che il velo di ceneri emesso nell’atmosfera esercita nel ridurre la radiazione solare sulla superficie terrestre. Dando all’evento del 1883 un indice 1000, quelli tra il 1811 e il 1818 raggiungono un indice di circa 4400.

Più eventi
L’eruzione del Monte Tambora fu, infatti, preceduta da due forti  eruzioni: Saint Vincent nel Caraibi nel 1812 e Mayon nelle Filippine nel 1814.
Violenta in sé, l’eruzione del Monte Tambora ebbe effetti globali più vasti verificandosi in un decennio di notevole attività vulcanica ed in un periodo nel quale le temperature medie erano già inferiori a quelle attuali.

Canto di Natale
In quel decennio, il Natale con la neve divenne comune in molte nazioni europee. Charles Dickens nacque nel 1812 e passò tutta la sua infanzia in quel freddo decennio. I suoi racconti de I Libri di Natale sono sicuramente stati originati anche dai ricordi e dalle impressioni di quel periodo.

[Le informazioni sono tratte dal libro di Antonio Navarra e di Andrea Pinchera, “Il clima”, pubblicato da Editori Laterza nel 2000 e da “La rivoluzione del clima” di Brian Fagan, pubblicato da Sperling&Kupfer Editori nel 2001]
1816 – L'”anno senza estate” ultima modifica: 2019-06-18T15:55:33+00:00 da Giorgio Della Valle

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